Dal rischio idrogeologico all’analisi del rischio di incidente rilevante fino alla conservazione delle aree protette: sono le prime anomalie riscontrate da Legambiente. “Un’opera necessaria che si potrà realizzare solo con un processo trasparente e il dibattito pubblico”

Un tema scottante quello del deposito di rifiuti nucleari. Lo scorso gennaio è avvenuta la tanto attesa pubblicazione della CNAPI  ovvero la Carta nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico, rimasta secretata per sei anni in cui sono avvicendati tre governi. Una pubblicazione che ha aperto un percorso verso la soluzione del problema: ad oggi i rifiuti radioattivi sono ammassati in depositi inidonei e pericolosi oltre che smaltiti illegalmente.

Eppure di strada ce ne ancora tanta da fare. Sono molti i dubbi e le criticità usciti dai primi approfondimenti sulla Cnapi fatti da Legambiente: dal rischio idrogeologico a quello di incidente rilevante, dalla contemplazione delle aree protette all’adozione di criteri più chiari e trasparenti, sono diversi gli elementi da considerare attentamente nell’iter per la realizzazione del Deposito Nazionale.

Trasparenza delle informazioni e qualità dei progetti, per Legambiente, sono la base per un confronto serio che consenta di affrontare i problemi: è quanto sintetizzato nel Manifesto per il dibattito pubblico sulle opere della transizione ecologica siglato pochi giorni fa insieme ad altre 13 associazioni e inviato al Governo Draghi.

“Le aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito sono state individuate adottando criteri omogenei sull’intero territorio nazionale e con una procedura che prevede approfondimenti in una fase successiva, con analisi più dettagliate nei soli siti effettivamente interessati – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – Pur essendo comprensibile il principio, alcuni aspetti di carattere generale sono stati tuttavia trascurati o erroneamente interpretati in questa prima fase e difficilmente potrebbero essere recuperati o modificati successivamente. Il tutto genera una serie di perplessità, domande e necessità di chiarimenti che non possono essere risolti con la sola fase di osservazione”.

Sottovalutato il rischio idrogeologico 

I rapporti descrittivi delle aree “potenzialmente idonee” partono dal presupposto che i documenti cartografici disponibili oggi – siano essi regionali, nazionali o delle Autorità di Distretto – siano assolutamente esaustivi. Tuttavia, secondo Legambiente, le carte di pericolosità idraulica e geomorfologica utilizzate (riguardanti cioè il rischio frane e alluvioni) sono state in alcuni casi fuorvianti, poiché sussistono vuoti conoscitivi non colmati o aggiornamenti non recepiti. I continui aggiornamenti in corso sono dovuti anche alla velocità con cui il territorio stesso si è trasformato negli anni, come nel caso di consumo di suolo ed edificazioni, portando a una non corrispondenza tra la cartografia utilizzata e la realtà dei luoghi.

Rischio di incidente non pervenuto

Del tutto manchevole, poi, un’analisi del rischio di incidente rilevante del Deposito unico: eppure, secondo le Linee Guida di Ispra, andrebbero verificate “la rispondenza a fronte degli eventi naturali ed antropici ipotizzabili in relazione alle caratteristiche di sito” ed effettuate “le verifiche in merito all’impatto radiologico in condizioni normali ed incidentali sulla popolazione e sull’ambiente”. Tra i dati meteoclimatici presentati negli elaborati, ad esempio, mancano quelli relativi al vento in quota, essenziali per determinare la possibile ricaduta di sostanze radioattive in caso di incidente.

Impatto paesaggistico e non solo

L’impatto del Deposito nazionale, infatti, è rilevante per aspetti come quello paesaggistico, archeologico, storico e naturalistico nel loro complesso, e una mancanza di analisi dell’interrelazione di ciascuno di questi elementi distribuiti sul territorio appare perciò non giustificata.

In pericolo le aree protette

Il prossimo 26 aprile saranno trascorsi esattamente 35 anni dal disastro di Chernobyl, il più grave incidente nella storia del nucleare civile insieme a Fukushima. È un monito per l’Europa e l’Italia che hanno il dovere e la responsabilità di chiudere in sicurezza con il nucleare e la sua pericolosa eredità, e di contrastare lo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi. In questo percorso, l’individuazione di un Deposito Nazionale per i rifiuti a media e bassa attività è un tassello fondamentale che però richiede la massima trasparenza dell’iter, la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini – Stefano Ciafani

In molti casi, le aree proposte sono inserite in un sistema di aree protette che non può essere considerato come composto di elementi indipendenti tra loro, ma che è rete nel suo complesso. Inoltre, in questa fase non viene tenuto conto delle condizioni che concorrono alla conservazione di un’area protetta, sempre strettamente legate a “un’area d’influenza più ampia”, e che dipendono anche dalla possibilità di stabilire specifici corridoi ecologici.

In ultimo, è interessante osservare come sia stata utilizzata una discrezionalità nella definizione e applicazione di alcuni criteri: nel primo livello di analisi sulla viabilità stradale, ad esempio, sono state escluse “tutte le aree poste a meno di 1 km dalle autostrade, superstrade e strade extraurbane principali, corrispondenti alle strade che consentono il maggiore volume di traffico e la massima velocità di spostamento”. Ciò a dispetto del fatto che il termine “superstrada” non è contemplato né a livello amministrativo né giuridico: ci si chiede dunque come questa nuova tipologia di strada sia stata identificata e censita nei vari siti. La mancanza di elementi certi porta a ipotizzare un possibile approccio discrezionale nell’applicazione del criterio escludente 13 come definito da Ispra: in base al numero di strade extraurbane secondarie considerate dal valutatore, possono infatti aumentare o diminuire le aree potenzialmente idonee per il deposito unico nazionale.

“Il prossimo 26 aprile saranno trascorsi esattamente 35 anni dal disastro di Chernobyl, il più grave incidente nella storia del nucleare civile insieme a Fukushima. È un monito per l’Europa e l’Italia che hanno il dovere e la responsabilità di chiudere in sicurezza con il nucleare e la sua pericolosa eredità, e di contrastare lo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – In questo percorso, l’individuazione di un Deposito Nazionale per i rifiuti a media e bassa attività è un tassello fondamentale che però richiede la massima trasparenza dell’iter, la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini: serve perciò garantire la procedura del dibattito pubblico su tutte le opere nel nostro Paese,  a partire da questa, per assicurare il diritto al confronto e all’informazione sui contenuti dei progetti, all’ottenimento di risposte e tempi certi su questioni che investono il presente e il futuro dei territori”.

 

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